Avvenimenti notevoli accaduti nel castello

Tra gli avvenimenti più significativi accaduti tra le mura del castello, un posto di primaria importanza spetta all’assassinio del marchese Matteo Barresi. Il marchese venne ucciso dal figlio Gerolamo per motivi banali. Tra padre e figlio non correva buon sangue; il marchese, uomo rigido, non aveva autorità sul figlio che non sopportava vincoli di alcun genere. La vicenda della morte del marchese di Pietraperzia va collocata in un contesto storico che vedeva l’affermarsi della prepotenza dei feudatari sostituitisi alla legge statale. Sotto questa luce i fatti che portarono alla morte di Donna Aldonza Santapau ed a quella del marchese Matteo Barresi acquistano una fisionomia ben precisa anche se dai contorni oscuri e foschi. Donna Aldonza, sorella di Don Ponzio, era stata strangolata per gelosia dal marito Giovanni Antonio Perio Barresi, barone di Militello, dopo che questi aveva giustiziato sommariamente il presunto amante della moglie Pietro Caruso, detto Bellopede. Giovanni Antonio Perio aveva sposato per amore la bellissima Donna Aldonza Santapau, figlia di Raimondo e sorella di Calcerando, Francesco e Ponzio.

Si narra che, mentre il marito si trovava a combattere nelle Fiandre per il suo re Giovanni d’Aragona, la bella moglie lo tradiva con il suo secreto Pietro Caruso; questi era un uomo ricco di fascino e di bontà, ma leale e devoto al suo signore e mai si sarebbe premesso d’intrattenere una relazione con Donna Aldonza. Egli, partecipava alla preparazione dei balli che organizzava la sua signora facendo venire dal vassallaggio dame e cavalieri, ma mai cercò tresche d’amore con Donna Aldonza. Ma i fratelli di Giovanni Antonio Perio Barresi, Niccolò e Luigi intessevano trame ai danni di Donna Aldonza perché questa non era disposta a dar loro più di quanto aveva stabilito dal barone suo marito. Così, un giorno sapendo che il loro fratello si trovava a Palermo, i due gli scrissero una lettera nella quale accusavano la cognata d’intendersela col suo secreto. Il barone, non appena terminato di leggere la missiva, chiamo i suoi sgherri e partì come una furia per Militello, deciso a punire col sangue l’infedele moglie ed il suo amante. Arrivata la notizia che il barone stava per giungere al castello, il secreto Bellopede, completamente ignaro delle accuse mossegli dai fratelli del signore, gli andò incontro per dargli il benvenuto e per metterlo al corrente di quanto era accaduto in sua assenza nei suoi vassallaggi. L’incontro avvenne a Palagonia, terra del barone, dove il barone decise di pernottare prima di affrontare l’ultima tappa del viaggio. Dopo la cena il barone convocò in privata sede Bellopede e brutalmente incominciò ad interrogarlo ed a minacciarlo di morte. Il poveretto, assolutamente estraneo alle colpe che gli venivano attribuite, non seppe far altro che professarsi assolutamente innocente. Non riuscendo a farlo confessare, il barone lo fece trascinare nel cortile del castello e legare ad un albero di pino; là, sorvegliato dagli sgherri, fu lasciato tutta la notte. L’indomani mattina, di buon ora, il barone si mise a cavallo e con pochi fidi arrivò a Militello, dove fu raggiunto la sera dai suoi uomini e dal povero Bellopede. Appena giunto, fece rinchiudere la moglie in una segreta del castello, poi continuò a far torturare il Bellopede, ma questi continuò a professarsi innocente. Non pago di tante atrocità, fece legare il povero secreto ad un cavallo che lo trascinò per le vie del paese. Giunto il cavallo davanti alla casa del secreto, il barone fece uscire la madre costringendola a ballare e cantare davanti al cadavere del figlio. Non sappiamo quanto ci sia in questa storia di vero. Il barone ordinò che quella sera a Militello non venisse acceso nessun lume; poi si ritirò nelle proprie stanze a meditare il misfatto che avrebbe compiuto di li a poco. La notizia di questa giunse ben presto all’orecchio del viceré che spedì subito a Militello un suo emissario con l’incarico di farsi consegnare dal barone Donna Aldonza perché questa venisse condotta al Monastero delle Benedettine di Catania e qui affidata alla Madre Badessa. Il viceré ingiungeva inoltre al barone di Militello di mostrarsi obbediente al volere regio e lo informava che, in caso contrario, sarebbe incorso nella pena capitale e nella confisca dei beni. Ma l’ordine di portare a Catania Donna Aldonza non giunse in tempo perché il marito, per mano di un sicario, aveva fatto strangolare la moglie. Il barone di Militello ed i suoi fratelli incominciarono ad essere minacciati dai Santapau. Il viceré allora, spedì un dispaccio ai Santapau ed ai Barresi nel timore che la vendetta potesse estendersi ad altri familiari ed ordinò al commissario Mirabella, d’impedire ai Santapau di vendicare la loro congiunta, pena la morte e la confisca dei beni. Ma mentre il commissario Mirabella si adoperava per istruire il processo contro Antonio Perio ed i suoi complici, Giovanni Ponzio Santapau, figlio primogenito di Raimondo tese un agguato mortale a Nicolò Barresi nel feudo di Picadaci, il delitto venne scoperto ed il giovane condannato; ciò accrebbe l’odio fra le due famiglie, tant’è che parecchi anni dopo Don Ponzio e suo fratello, Don Francesco misero in atto un piano tanto diabolico quanto astuto contro Don Girolamo, figlio di Don Matteo Barresi, cugino del barone Giovanni Antonio Perio Barresi. Il giovane venne accolto con ogni riguardo dalla famiglia Santapau e indotto ad innamorarsi di Donna Antonia Santapau figlia di Don Ponzio. Con cura si preoccuparono di mettere cattiva luce agli occhi del figlio il Don Matteo Barresi accusando questi di sperperare le ricchezze di famiglia nella ricostruzione di Pietraperzia e Barrafranca. Quando Don Girolamo fu vinto dall’amore per Donna Antonia e ne chiese la mano al genitore questi disse che avrebbe volentieri acconsentito a condizione però che Don Matteo Barresi desse il proprio consenso.

Don Girolamo tornò a Pietraperzia per chiedere al padre il permesso di sposare Donna Antonia; immenso fu il dispiacere di Don Matteo nell’ascoltare tale richiesta; questo accese dei furibondi contrasti fra padre e figlio inducendo quest’ultimo ad abbandonare Pietraperzia per fare ritorno a Licodia dove, poco dopo, sposò Donna Antonia, senza il consenso del padre. Grazie alla astuta regia di Don Ponzio , i rapporti tra Don Girolamo ed il padre continuavano ad essere pessimi, cosicché Don Girolamo, sobillato dal suocero, finì per far soffocare il padre nel sonno da due servi. Si cercò di celare il delitto, ma qualcuno informò dell’accaduto il viceré il quale ordinò un’inchiesta che portò all’arresto di Don Girolamo Barresi con l’accusa di parricidio. Sottoposto a tortura, confessò di avere ucciso il padre con la complicità dei servi, del suocero, il marchese di Licodia, del fratello di questi Don Francesco Santapau.

Per sottrarre il marchese Don Gerolamo Barresi alla mannaia, la farniglia si prodigò in tutti i modi. Offrirono alla Tesoreria dello Stato prima 6.000 ducati, poi arrivarono ad offrirne 50.000, ma senza alcun risultato. Non valsero nemmeno le pressioni fatte in alto loco. Il 13 febbraio 1556 Don Gerolamo Barresi veniva giustiziato nel piano del castello di Palermo. Si cercò cosi di interrompere una catena di vendette che rischiava di trascinare l’intera Sicilia in faide e soprusi di ogni genere. Ma la serie di lutti non fini con la morte di Don Gerolamo Barresi; nel castello se ne ebbero altri, anche se dovuti al caso, come quello dovuto alla morte del figlio di Don Girolamo, Don Pietro, colpito da un filmine mentre si trovava nella sua stanza assieme alla moglie Donna Giulia Moncada. La stanza nella quale avvenne la disgrazia fu chiamata “la stanza del tuono”.

Morto Don Pietro, gli successe la sorella Donna Dorotea. Questa nell’aprile del 1555, aveva sposato a Palermo Don Giuseppe Branciforte IV Duca di Mazzarino e Grassuliato. Rimasta vedova, sposò per motivi d’interesse Don Vincenzo Barresi e Branciforte, suo primo cugino, di 17 anni più giovane di lei. Dopo un solo giorno di matrimonio, Don Vincenzo misteriosamente morì.

Dopo appena cinque anni di vedovanza, Donna Dorotea si risposò con Don Giovanni Zunica, conte di Castiglia, ambasciatore del re Filippo II presso il papa Pio V, seguendolo a Roma presso la corte del papa, prima e a Napoli, dove questi venne nominato Viceré dal re Filippo II, poi. Nel 1582 si trasferirono in Spagna chiamati dal re dove, Donna Dorotea guadagnatasi la stima della regina, rimase dodici anni, Dopo la morte del marito, ammalatasi, Donna Dorotea volle ritornare nella sua Pietraperzia nel cui castello mori il 16 agosto 1591. Il figlio Don Fabrizio, le fece costruire un monumentale sarcofago che si trova tuttora nella chiesa Matrice: fece inoltre raccogliere tutti i ricordi della madre in una stanza del castello, la cui porta fece murare (1592). Con la morte di Donna Dorotea, cessa anche la vita del castello ed il suo splendore. I principi si trasferirono a Militello ed il castello venne affidato ai governatori.